Pescara. Un giovane trentenne, dopo dieci anni di esperienze in giro per l’Italia torna in Abruzzo con una sua identità. È convinto che i giovani debbano dire la loro e raccontare un territorio e i suoi sapori con semplicità e tecnica. Ogni piatto che si realizzi deve divenire la massima espressione interpretativa di chi sta dietro le quinte. La storia dello Chef Daniele D’Alberto inizia a piccoli passi, con grande umiltà e voglia di dimostrare che se si vuole si può.
- Quando hai messo piede per la prima volta in cucina?
La mia prima esperienza è stata all’hotel Dragonara a Sambuceto nel 2015, prima solo uno stage con la scuola.
- Nella tua formazione nomi importanti tra i quali anche Vissani. Cosa hai tratto dai suoi insegnamenti?
Sonno arrivato da Vissani quando lui era ancora sulla cresta dell’onda e mi sono trovato a passare dalla ristorazione d’albergo al migliore ristorante d’Italia su tutte le guide. Per me è stato un colpo psicologico, non mi sentivo all’altezza. Alla fine sono rimasto tre anni mezzo. Lì non importava il curriculum, da dove venissi, se hai una marcia in più sei premiato sicuramente.
- C’è stato un momento del tuo percorso in cui qualcuno ti ha detto di dover far altro che non eri tagliato per fare lo chef?
No, che io ricordi. Ho molti difetti ma tra i miei pochi pregi è quello di avere un obiettivo e perseguirlo fino alla fine. Non mollo, cerco di dare il massimo in tutto quello che faccio e non mi piace perdere tempo.
- C’è stato un mentore al quale ti sei ispirato?
No nessuno in particolare. Quando andavo all’alberghiero io era considerata la scuola degli ‘asini’ fatta per coloro che non avevano voglia di studiare. Non andava certo di moda come ora. Il movimento è cresciuto in maniera esponenziale da quando io ho scelto questo percorso.
- Cosa ritieni debba raccontare un piatto sulla tavola?
Il piatto deve raccontare una storia. Il piatto buono lo mangi dappertutto, tanti sono gli chef che preparano ottime ricette la differenza sta in quello che il piatto riesce a raccontare in una determinata tempistica.
- Hai partecipato a “Meet in Cucina” accanto a nomi di rilievo. Cosa si prova a stare sullo stesso palco di personalità di un certo calibro?
C’è un’immagine emblematica che spiega bene quale fosse la mia sensazione il giorno di “Meet in Cucina”. Io mi sono esibito per secondo, dopo Crippa, io ero dietro teso e Andrea uno degli organizzatori ha immortalato con una foto me che dallo schermo guardavo Crippa spiegare con estrema tranquillità un piatto complicato. Ho partecipato a tante manifestazioni di questo tipo ma farlo a “Meet in Cucina”, che è diventato il traino, è stato un motivo di orgoglio e dovevo far bella figura a tutti i costi.
- Hai omaggiato gli 80 anni della Saila con una creazione speciale. Parlaci di questo piatto, cosa ti ha ispirato e cosa ha suscitato a chi l’ha assaggiato.
Ho rappresentato una piccola aiuola con dei germogli che fuoriescono. Era un dolce semplice a base di liquirizia e menta come la caramella più importante della Saila. Con due gusti ho rappresentato un territorio, un terreno, una nascita.
- Il Vinitaly è senz’altro un’altra importante vetrina per il panorama culinario del nostro Paese. Perché la tua cucina ha avuto successo nella kermesse veneta in cui in passato si dava accento solo ai vini?
La mia cucina valorizza tutti gli ingredienti nel piatto in maniera semplice senza troppe fronzoli, però arriva a un risultato finale esclusivo tramite la tecnica. Semplice ma complessa da gestire e questo mi contraddistingue. Il piatto che ha suscitato maggiore interesse è stato “l’Uovo venuto dalla spazio” che faceva immaginare una cucina diversa da quella con cui si è soliti associare l’Abruzzo.
- Dal Br1 a Borgo Fonte Scura. Come sorprenderai i nuovi clienti?
Il connubio con l’arte e con la musica sarà portato avanti. Vogliamo alzare il livello ma non soltanto dei piatti. La cucina si sposterà verso il pesce essendo la location vista mare ma non trascureremo la carne, faremo un lavoro più a fondo anche sui vegetali. A ogni menu abbiamo dato un nome che racchiude un tema preciso e abbiamo associato a ogni momento della giornata un piatto. Per il giorno di riposo abbiamo pensato alla pasticceria con le coccole finali, piccoli dolcetti. Alle persone piace vedere la realtà delle cose e vedere che noi siamo giovani pensiamo una cosa e poi la mettiamo in un piatto e diventa buonissimo. La gente apprezza anche quella fase della ristorazione.
- L’11 giugno un menu messo a punto da te per un evento nel quale si ripercorreranno le tradizioni del matrimonio abruzzese. Quali piatti presenterai?
Abbiamo selezionato una serie di ingredienti e siamo partiti da questi. Dopo la ricerca del prodotto abbiamo realizzato piatti che alla tradizione solo nelle scritte in realtà più che imitare ricette passate abbiamo omaggiato il rito del matrimonio abruzzese.
- Secondo te quale è la forza dell’Abruzzo gastronomico? Cosa c’è da scoprire tanto da diventare invidia per altri territori?
L’Abruzzo è un territorio dal mio punto di vista ancora vergine dove si può e si deve fare ancora molto. Ma c’è bisogno anche di menti giovani. Io ho avuto diverse esperienze in giro per l’Italia e le voglio trasmettere agli altri. Gli chef devono essere al servizio del territorio sempre ed essere bravi a valorizzarlo. I ristoranti ormai sono il biglietto da visita di una regione.
- Cosa ti piacerebbe esprimere con la tua cucina che finora ancora non sei riuscito a fare?
Voglio migliorare, voglio far capire alle persone che sono un ragazzo di trent’anni che continua a conoscere in primis sé stesso e voglio che le persone oltre che mangiare bene conoscano Daniele… ma quello possono farlo solo attraverso i piatti.
@baldaroberta