Pescara. La spedizione alpinistica nel Kirghizistane il tentativo di salita della vetta del Peak Lenin a quota 7.134 metri ha lasciato, oltre a un grande desiderio di riprovare un giorno la conquista della vetta, anche un bagaglio di esperienza importante agli alpinisti impegnati e importanti informazioni per futuri tentativi. Questa avventura parte da Pescara il 2 agosto con destinazione finale il Campo Base a 3600 metri di quota all’interno della catena del Pamir.
“Per arrivare a quel giorno pronto sotto ogni punto di vista fisico e mentale”, racconta uno degli alpinisti, il marsicano Enrico Iacomini, “mi sono allenato sulle nostre montagne abruzzesi, cercando di trovare situazioni al limite della sopportazione, al fine di comprendere le mie reali capacità di adattamento alle condizioni estreme.
Ci è voluto un anno di allenamento, salendo spesso in solitudine con qualsiasi condizione metereologica, condizione minima per pensare di salira su una vetta cosi alta.
Mediamente per questa metà è consigliato un periodo di tre settimane, pertanto il ritorno della nostra spedizione era stata fissata per il giorno 22 agosto.
I primi due giorni sono serviti per l’arrivo al CB, i successivi 10-12 sono serviti per l’acclimatamento.
Questo periodo per un alpinista è molto importante, come ho già raccontato nelle precedenti relazioni, oggi posso affermare che per me il periodo di acclimatazione su Peak Lenin è stato certamente più faticoso del successivo tentativo di salita sulla vetta.
Per non preoccupare la mia famiglia, non ho mai rivelato della mia reale condizione fisica durante quel periodo, dal secondo giorno durante un giro di ambientamento nella zona ho avvertito problemi di stomaco, i sintomi erano chiari, ero stato colpito da una dissenteria per causa della scarsa igiene.
Non ero ancora partito ed ero già nella condizione di dover rinunciare. No, non poteva finire cosi, la mattina successiva dovevamo lasciare il CB e salire al C1 a 4400 m di quota, con un tempo di percorrenza medio di 6 ore.
Mi sentivo un moribondo mentre percorrevo il sentiero di salita, ricordo di aver vissuto una condizione simile sulla Majella, dove ho trovato la forza di salire per 10 ore con uno zaino che pesava 20 chili.
Ringrazio la mia compagna di cordata Anna Grego che con la sua esperienza sui sintomi in alta quota mi ha saputo sostenere durante il tragitto. Per non farmi mancare nulla a circa 200 metri lineari dal C1 si sono manifestati leggeri sintomi di mal di montagna, per cui mi sono dovuto fermare per recuperare le forze mangiando e bevendo.
Arrivati al C1 abbiamo atteso qualche giorno per poter procedere nella salita da C1 a C2 a quota 5300.
Gli alpinisti che avevo interpellato per avere informazione sulla salita al Peak Lenin, mi hanno sempre detto che non era uno scherzo salire questa vetta.
La battuta ricorrente era quella che ad ogni campo avrei dovuto superare una nuova prova contro il mal di montagna.
Posso dire sulla mia pelle che è tutto vero, escludendo la non rilevante difficoltà tecnica di salita, il vero problema è la sopportazione dell’alta quota.
Il giorno della salita al C2 le mie condizioni fisiche erano ancora pessimei, non avevo risolto del tutto i miei problemi fisici.
Siamo partiti di notte, dopo circa due ore di cammino siamo arrivati nella vasta area dei crepacci, avanzando a zig zag, superiamo i crepacci e ci immettiamo su un lungo traverso esposto a possibili valanghe.
Su questo tratto di salita viene raccontato dalla gente del posto su un fatto accaduto nel 90, che ho verificato di persona, di una valanga che ha spazzo l’allora C2 uccidendo circa 40 persone, di cui si vedono i resti di alcuni corpi a valle, in prossimità del C1.
Superato il luogo dell’ex C2 arriviamo in una zona ben protetta al nuovo C2. Stremato dalla fatica e da nuovi sintomi a causa dell’alta quota, sono rimasto seduto per lungo tempo, appena completata la tenda grazie all’abilità di Rino Baldisserotto, mi sono infilato al suo interno dove ero più riparato.
Il giorno successivo ci siamo alzati per salire da C2 a C3 a quota da 6100, il momento più intenso del percorso è stato l’ultimo muro di circa 300 metri di dislivello con elevata pendenza, arrivato a C3 anche questa volta mi sono dovuto sedere mentre Rino e Anna erano visibilmente tranquilli.
Sostiamo per alcune ore prima di scendere da C3 al fine di acquisire la quota raggiunta, condizione necessaria per il futuro tentativo di vetta, anche qui mi raggiunge l’ennesimo mal di montagna, ma stringendo i denti ho atteso fino all’ultimo prima di abbandonare il campo.
Passati 10 giorni dal nostro arrivo al Campo Base e dopo aver raggiunto il C3, si poteva tranquillamente dire di aver acquisito correttamente l’acclimatamento alla quota.
Durante quei giorni credo di aver toccato tutti i miei limiti fisici e mentali, costatando che il corpo umano è una macchina formidabile. Personalmente sono riuscito a portare la saturazione del sangue a 72% ben oltre il conosciuto limite del 90% dove inizia l’ipossia, e superare più volte situazioni di lievi sintomi di mal di montagna, senza minare il programma di salita.
Prima di tentare la vetta ci dovevamo riposare per recuperare dall’enorme dispendio di energie lasciato ai campi alti. Siamo rimasti circa 4 giorni al C1 e grazie all’aiuto di Anna e ad una alimentazione corretta ho risolto il problema della dissenteria che stava aumentando di giorno in giorno.
Durante la permanenza al C1 il tattico Rino e l’esperta Anna valutavano il mutare delle condizioni meteorologiche sulla montagna. Durante la giornata si potevano avere anche quattro tipi di condizioni climatiche dal cielo terso d’azzurro, ad una nevicata improvvisa, durante la notte si poteva avere sia vento forte, sia nuvole densissime.
Come è noto l’indice di affidabilità di una previsione a cinque giorni è pressochè nulla, quindi si doveva attendere l’avvicinarsi del periodo scelto a tavolino per cercare di capire il giorno migliore per tentare la salita della vetta partendo da C3 a quota 6100 metri.
Le previsioni arrivate al campo confermavano il perdurare del brutto tempo con l’innalzamento della velocità del vento e l’inevitabile abbassamento della temperatura.
Con questi presupposti nessun giorno era utile per il tentativo di vetta.
La scelta della data per il tentativo di salita cade sul giorno 16 agosto che rimane comunque un giorno al limite con il vento a 45kmh e temperatura percepita a -24 C°.
Scelto il giorno ci concentriamo sulle due giornate che precedono la vetta, facciamo l’elenco del materiale e cibo necessario, controlliamo il materiale: scarponi d’alta quota, tenda, telefono satellitare per le emergenze. abbigliamento pesante, guanti, cibo per più giorni, ecc..
Nella giornata che precede la partenza confortato dai miei compagni di viaggio mi sento in grado di affrontare per la seconda volta la salita che porta a C3 e tentare la vetta il giorno seguente.
Il giorno 14 agosto di parte alle ore 04.00 insieme a noi altre cordate ci seguono, durante la salita mi convinco che sto bene e cresce la convinzione di tentare la salita in vetta, quindi senza grossi problemi supero la zona dei crepacci ed anche il lungo traverso esposto alle valanghe”.