Pescara. Un processo è anche rappresentazione del contesto socio-politico-economico nel quale dispiega la sua parabola giudiziaria. Se sul banco degli imputi ci sono un sette volte presidente del Consiglio dei ministri, un magistrato, tre boss della mafia e un giovane in ascesa nella Banda della Magliana, allora quel processo è ancora di più specchio dei tempi che lo hanno prodotto.
Nell’ambito del “Fla – Festival di libri e altrecose”, giovedì alle 17, alla Sala del Museo del Gusto del Museo delle Genti d’Abruzzo, via delle Caserme 24 di Pescara, quel periodo storico, gli anni di piombo, tornano in primo piano nell’incontro coordinato da Gianluca Di Febo, al interverranno Alvaro Fiorucci e Raffaele Guadagno, autori di “Il divo e il giornalista, Giulio Andreotti e l’omicidio di Carmine Pecorelli: frammenti di un processo dimenticato“ (Morlacchi editore).
L’assassinio di Carmine Pecorelli, detto Mino, avvenne a Roma il 20 marzo 1979, ma il processo si celebrò a Perugia. Le indagini coordinate dai sostituti Fausto Cardella e Alessandro Cannevale portarono davanti alla Corte d’Assise il senatore Giulio Andreotti, il magistrato Claudio Vitalone, il boss mafioso Gaetano Badalamenti, il cassiere di Cosa Nostra Pippo Calò, accusati di essere i mandanti e l’ex Nar, uomo della Magliana, Massimo Carminati e il “picciotto” Michelangelo La Barbera, indicati come esecutori.
La vicenda immersa nei segreti di un ventennio terribile, si è conclusa con l’assoluzione di tutti gli imputati con una sentenza definitiva che riconosce agli inquirenti perugini di aver lavorato in un contesto senza alternative. E il contesto è appunto quello degli anni di piombo.