Pescara. “L’8 marzo siamo intervenuti alla manifestazione “L8ttiamo Insieme! A Feminist March” promossa da Collettivo Zona Fucsia dove abbiamo ascoltato molti interventi stimolanti legati alla lotta per i diritti della donna. Ci siamo chiesti a quale tema dedicare il nostro intervento, considerando che tra le questioni principali trattate da Possibile sin dalla sua nascita ci sono sempre state la Tampon tax e la parità retributiva. Abbiamo scelto di puntare i riflettori su un tema spesso trascurato e relegato in fondo alle agende politiche: il mancato riconoscimento del professionismo delle donne nello sport.
La questione è molto ampia e antica, e tocca diversi aspetti: da quelli culturali, al controllo e all’oggettificazione del corpo femminile – con l’imposizione di divise concepite perlopiù per il soddisfacimento dell’onnipresente sguardo maschile – e, ancora, passa per la necessaria inclusione delle atlete trans nei campionati femminili. Un altro aspetto che consideriamo cruciale, e che rientra peraltro nella tematica della parità salariale, è quello economico. Lo sport esercitato da donne a differenza di quello esercitato da uomini, in Italia, non è ancora riconosciuto come professione.
È vero, recentemente è arrivata qualche buona notizia.
Proprio in Italia è stato istituito un «Fondo per il professionismo negli sport femminili», entrato in vigore dal 1° gennaio 2022, per cui le Federazioni sportive nazionali che intendono accedere al Fondo devono deliberare il passaggio al professionismo sportivo di campionati femminili: questo dovrà poi avvenire definitivamente entro la fine dell’anno. L’unica Federazione che sembra aver accolto questa decisione è la FIGC, che introdurrà i contratti professionistici dal prossimo campionato. Il calcio, l’unico sport che in Italia riconoscerà le donne come professioniste, è senz’altro quello che nella società italiana gode di maggiore esposizione mediatica – oltreché di maggiori risorse economiche – ed è dunque, forse, l’unico che “può permetterselo”. Non esattamente un riconoscimento di diritti umani, dunque: al massimo, una concessione.
Anche questo è patriarcato. Nel 2022 dobbiamo ancora lottare per non doverci “meritare” i diritti. Il diritto che oggi reclamiamo più forte, allora, per noi e per tutte le categorie oppresse, è quello del non dover eccellere, del non dover essere sempre le migliori, per vederci riconosciuto ciò ci spetta”.